Al Capitolo Generale delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo
( Roma, 2 luglio 2023)
Buon pomeriggio a tutte voi e un grazie a Sr. Nadia e al suo Consiglio per avermi dato l'opportunità di condividere con voi, all'inizio del Capitolo, un tema di attualità come quello che mi avete proposto:
LA NOVITÀ È CUSTODITA DENTRO IL NOSTRO OGGI.
Vorrei aiutarvi e aiutarmi a riflettere su come la vita religiosa possa offrire elementi di profezia alla luce delle trasformazioni globali che stiamo vivendo.
Il titolo potrebbe anche essere: Quale novità può offrire la vita religiosa di fronte a un mondo che cambia rapidamente?
E Colui che siede sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose". E aggiunse: "Scrivi, perché queste parole sono fedeli e vere" (Ap 21,5).
Viviamo in un tempo nel quale fiumi di inchiostro, montagne di parole, innumerevoli pagine internet colpiscono - o, a volte, accarezzano - i nostri sensi, come se cercassero di alleviare le sfide e le minacce di ogni tipo che assillano l'umanità.
Tutte queste realtà, che colpiscono il nostro mondo, colpiscono in modo particolare noi consacrati, poiché non c'è nulla di veramente umano che non trovi eco nel cuore dei discepoli di Cristo (GS 1).
E Colui che siede sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose". E aggiunse: "Scrivi, perché queste parole sono fedeli e vere" (Ap 21,5).
Viviamo in un tempo nel quale fiumi di inchiostro, montagne di parole, innumerevoli pagine internet colpiscono - o, a volte, accarezzano - i nostri sensi, come se cercassero di alleviare le sfide e le minacce di ogni tipo che assillano l'umanità.
Tutte queste realtà, che colpiscono il nostro mondo, colpiscono in modo particolare noi consacrati, poiché non c'è nulla di veramente umano che non trovi eco nel cuore dei discepoli di Cristo (GS 1).
Anche la Chiesa e la vita consacrata, in quanto parte di questo tempo che abitiamo, sperimentano le loro acute difficoltà, di cui tutti siamo consapevoli. Siamo sopraffatte dalla riduzione numerica, dalla perdita, dal declino, dalla vecchiaia, dalla mancanza di testimonianza... e da altre realtà che a volte non sappiamo come affrontare.
Oggi, soprattutto nei media, si dice spesso che stiamo vivendo o entrando in un'apocalisse perché i fenomeni che ci circondano sono molto simili a quelli dei racconti biblici di questo genere (pandemie, cambiamenti climatici con tutte le loro conseguenze, disuguaglianze sociali incalcolabili, guerre, minacce della natura e soprattutto dell'uomo... incertezza e paura di fronte all'avanzare dell'intelligenza artificiale... e un lunghissimo eccetera).
E di fronte a tutto questo, che è reale, che cosa facciamo noi? Sappiamo e crediamo che nulla è impossibile a Dio (Lc 1,37), che il nostro Dio è in grado di creare nuovi cieli e una nuova terra (Is 65,17), che può trasformare le pietre in figli di Abramo (Mt 3,9) e calmare le tempeste (Lc 8,22-25), che può sfamare una moltitudine con due pani e cinque pesci (Lc 9,16), e così via. Senza che questo significhi cadere nel provvidenzialismo del Dio che risolve i nostri problemi con una bacchetta magica. Egli ha lasciato il mondo nelle nostre mani e con il suo aiuto dobbiamo risolvere i nostri problemi, soprattutto quelli che noi stessi causiamo.
Come persone di fede ci sentiamo chiamate a dare una qualche risposta al nostro mondo. Dovremmo chiederci: crediamo e viviamo la Promessa o ci lasciamo condizionare dalla disperazione e dalla paura che pervade tutto?
Che cosa diciamo? Come lo diciamo? Dove cerchiamo le risposte?
Potremmo anche chiederci se, per dire una parola di incoraggiamento o per essere testimoni della novità di Dio, ci sono utili i vecchi otri che per tanto tempo hanno contenuto il vino buono (Lc, 5, 33-39) o dobbiamo cambiarli con altri nuovi per dimostrare che il vino è ancora buono e che possiamo offrirlo in otri non usurati, con comportamenti più credibili, con gesti e parole più comprensibili, con stili che tutti riconoscano come evangelici. Siamo profeti di calamità o viviamo e aiutiamo a vivere la speranza cristiana, quella che va oltre ogni speranza umana e che si fonda sulla risurrezione di Cristo?
Se crediamo e viviamo veramente ciò che vogliamo trasmettere, i nostri volti, i nostri sorrisi, le nostre parole, i nostri gesti, le nostre decisioni..., devono essere dipinti di verde, del colore della speranza. Non perché tutto ci sorride o abbiamo molte sicurezze, o per la nostra importanza sociale, o per le nostre abbondanti risorse umane e materiali; né per la nostra vita irreprensibile..., ma perché la nostra ragion d'essere è Cristo, morto e risorto; perché crediamo che l'amore è più forte dell'indifferenza e dell'egoismo; perché siamo certi che la luce vince le tenebre e che solo il chicco sepolto nella terra è capace di portare frutto (Gv. 12, 24).
La sfida che Paolo lancia a se stesso nelle sue Lettere e a noi oggi è quella di evitare che l'"apparenza" sia il fondamento della nostra vita, della nostra fede e della nostra azione apostolica o missionaria. Non è solo la buona formazione ricevuta; non sono le buone argomentazioni, non sono le analisi della realtà fatte con precisione, non è il nostro inserimento radicale negli ambienti sociali e le istituzioni apostoliche efficienti e ben gestite … no, niente di tutto questo dà fondamento alla nostra fede e a quella di coloro ai quali siamo inviate. Seguendo il modello paolino, consideriamo tutto questo come perdita e spazzatura rispetto all'esperienza e alla conoscenza del Crocifisso-Risorto.
Oggi, in mezzo al nostro mondo, l'unica cosa che conta, quella che non possiamo delegare e a cui non possiamo rinunciare, è la testimonianza profetica. La profezia non è una laurea, un dottorato, un master... Il profeta è scelto da Dio fin dal seno materno (Ger 1), sempre con una missione, non solo con una testimonianza. È qualcosa che non si può comprare al supermercato: qualche chilo o sacchetto di profezia!
Il profeta è l'uomo, la donna che, in nome di Dio, ha qualcosa di nuovo da offrire. A volte, con molta impotenza, con molta paura, con molta povertà, con pochissimo riconoscimento sociale e nelle circostanze più avverse, è in grado di affidarsi solo a Dio e di aiutare gli altri a farlo (Ger. 1,4-10).
Il lessico profezia dal Concilio ad oggi, in relazione al contesto della vita consacrata, ha subito non poche variazioni di significato e di impatto ecclesiale. Se negli anni immediatamente dopo il Concilio Vaticano II era quasi sinonimo delle novità introdotte dal medesimo - la cosiddetta “profezia del Concilio” - progressivamente si sposta verso una vita consacrata che avverte l’accomodata renovatio – il ben noto aggiornamento - come urgenza ineludibile. La riscoperta del carisma e dei carismi fondazionali apporta un ulteriore variazione, in quanto l’autenticità del carisma rivela la sua profezia. Negli anni immediatamente vicini al nostro tempo (inizio del XXI secolo) la complessità delle sfide sociali, culturali ed ecclesiali inevitabilmente si proiettano in una vita consacrata che si propone come profetica. La profezia delle frontiere.
Se volessimo solo accennare agli elementi che nell’odierno contesto socio-culturale connotano la profezia si potrebbero così delineare:
- Credibilità: l’accento è posto sui valori che rendono manifeste le nostre intenzioni e motivazioni. Giocarsi la credibilità significa squalificarsi. La credibilità è persuasiva perché accetta il confronto e soprattutto non si
sottrae all’autocritica. I profeti erano voce critica nel loro tempo, ma non paventavano le critiche degli altri.
- Affidabilità: siamo affidabili nella misura in cui siamo credibili. La fiducia del popolo di Dio legge la profezia nella quotidianità nella trasparenza (non solo gestionale) del nostro agire da consacrati/e, e nella gratuità
come capacità di disponibilità nel disinteresse.
- Radicalità: indubbia l’ispirazione evangelica alle esigenti prospettive della sequela Christi, tuttavia non va confusa con stili di vita ad ingannevole ‘attrazione’. Radicalità è testimonianza che affonda le radici nella Verità del Vangelo e non nelle mode socio-ecclesiali della vita consacrata.
Le tre connotazioni – come si può ben comprendere - sono “volti” di una profezia della vita consacrata non retorica, ma ancorata alla storia e concretamente coinvolta nelle dinamiche ecclesiali.
In questa prospettiva, o torniamo allo spirito profetico, sempre antico e sempre nuovo, reinventiamo ogni giorno il modo di vivere il Vangelo, viviamo lo spirito di inclusione di tutti senza riserve, mostriamo volti da risorti... O facciamo questo o rimaniamo in una società che non ha più bisogno di noi come alternativa per arrivare dove prima non arrivavano lo Stato e le istituzioni pubbliche (educazione, sanità, welfare, ecc.), e che ci guarda con sospetto, ci critica, ci rimprovera i peccati e forse ci ammira come un quadro ben dipinto, ma dice: questo non fa per me.
Papa Francesco, durante la sua visita in Ungheria lo scorso aprile, ha sottolineato che una delle richieste più importanti per noi è quella di "interpretare i cambiamenti e le trasformazioni del nostro tempo, cercando di affrontare le sfide pastorali nel miglior modo possibile". Questo è ciò che hanno fatto i profeti di tutti i tempi: interpretare i segni, leggere ciò che Dio ha manifestato in mille modi e ha chiesto loro di mostrare al mondo. Che cosa vedi? Ripete il Signore a ciascuna de noi, come ha fatto con Geremia.
Questo è ciò che hanno vissuto le nostre Fondatrici, che nelle peggiori circostanze della storia hanno saputo leggere il loro tempo, poiché si sono affidate solo a Dio e hanno cercato di rispondere ai bisogni più urgenti del loro momento storico, sono state capaci di vivere la profezia, di rivoluzionare un mondo di ingiustizie, di dare dignità alla condizione umana, di rompere gli schemi obsoleti che servivano solo a coprire vite e costumi discutibili. Essi, come il chicco di grano, non hanno calcolato la loro dedizione e hanno dato la vita in nome di Dio e al servizio dei più vulnerabili.
Ecco, io sto per fare una cosa nuova; essa sta per germogliare; non la riconoscerete? Sí, io aprirò una strada nel deserto, farò scorrere dei fiumi nella steppa (Is, 43,19).
Lo Spirito ci dice oggi di attualizzare le parole di Isaia. Ci sono molti deserti e terre desolate, e non solo quelli ambientali - già gravi - ma anche deserti e terre desolate molto dure che ci fanno ricordare con nostalgia le cipolle d'Egitto (Num. 11, 4-28), che ci fanno credere che qualsiasi tempo del passato sia stato migliore (J. Manrique), che ci inducono a desiderare di nuovo chiese piene, case di formazione traboccanti, opere apostoliche influenti, grandi edifici pieni di vita, trasmissioni generazionali assicurate... e la nostra onnipresenza in tutti i tipi di apostolato. Questa è già storia e la nostalgia ci stanca e ci impedisce di aprire gli occhi al nuovo, alla creatività.
Il Signore parla di novità e ci chiede di svegliarci: non lo vedete?
La novità non viene imbrigliata nelle ricerca di “cose nuove” da fare. Anzitutto nella prospettiva della storia della salvezza il novum è in relazione all’escathon. Le cose nuove sono l’indicazione del già e non ancora, ovvero l’anticipazione nell’oggi del compimento ultimo. Pertanto il novum è lo sguardo nuovo sulla storia, il nostro tempo, le vicende che investono il nostro Istituto. E soprattutto uno sguardo senza pregiudizi. In questa prospettiva la profezia è un esercizio di discernimento, nel senso del tenere “aperti gli occhi” su quanto accade attorno a noi. Si tratta concretamente di intercettare i segnali della contemporaneità che ci sorprendono perché non poche novità arrivano inaspettate. La profezia è nel non lasciarci sorprendere, ovvero nel capire quanto accade.
L'importante - e forse il difficile - è scoprire in cosa consiste la novità, che cosa ci fa sperare, che cosa ci riempie di nuovo di speranza, che cosa ci rinnova... Non è forse il piccolo, il marginale, il semplice, i numeri ridotti, il lavoro ai margini, gli apostolati “inter” (intercongregazionali, interculturali, intergenerazionali, interconfessionali…) che eliminano l'autosufficienza? Tutto ciò ci rende di nuovo poveri e fiduciosi nel Signore?
Il potere, l'influenza sociale, i grandi numeri, la capacità di raggiungere tutti e tutto, la sicurezza nei media e nelle risorse umane... hanno avuto sicuramente il loro valore, ma forse non sempre ci hanno fatto del bene. È vero che nella Chiesa e nella vita consacrata c'è stata molta dedizione, molta santità visibile o nascosta, molto aiuto ai più poveri, molta buona spiritualità, una sincera ricerca della volontà di Dio, molto eroismo missionario... Ma oggi la domanda è: come rimanere con ciò che è genuino, con il carismatico, con l'essenza, con lo spirito, con il grano, con ciò che è sempre antico e sempre nuovo, e liberarci dall'accessorio, da ciò che muta, dal relativo...?
L'unica cosa che non possiamo abbandonare, e che possiamo rafforzare con tutte le nostre forze, in tutte le risposte che vogliamo dare al nostro mondo, è la tensione profetica. E questa, secondo L. A. Gonzalo Díez, direttore della rivista Vida religiosa, non si basa su programmi estetici che non nascono dalla vita e che si limitano a intrattenere la vita. La tensione profetica non si improvvisa, si inscrive nella fede e dalla fede. È l'espressione vitale di chi ha scoperto il senso della propria vita nel Vangelo e così lo manifesta (VR, aprile 2023).
Seguendo il messaggio del Papa in Ungheria, questo è possibile solo guardando a Cristo come nostro futuro. Il Cristo risorto, centro della storia, è il futuro. Questo mi riporta a Teilhard de Chardin che giunge alla sua famosa conclusione: tutta l'esistenza, tutto il cosmo è centrato nel "Punto Omega", Gesù Cristo, il punto attraente e salvifico.
La nostra vita, pur segnata dalla fragilità, è posta saldamente nelle sue mani. Se lo dimentichiamo, anche noi cercheremo mezzi e strumenti umani per difenderci dal mondo, chiudendoci nelle nostre comode e tranquille oasi religiose; oppure, al contrario, ci adatteremo ai venti mutevoli della mondanità, e allora il nostro cristianesimo perderà vigore e cesseremo di essere sale della terra.
Né disfattismo né conformismo, continua il Papa. Sono queste, dunque, le due tentazioni da cui dobbiamo sempre guardarci come Chiesa - e come vita consacrata. La prima è quella di una lettura catastrofica della storia presente, che si nutre del disfattismo di chi ripete che tutto è perduto, che i valori del passato non esistono più, che non sappiamo dove andremo a finire. D'altra parte, l'altro rischio è quello di una lettura ingenua dei tempi stessi, che invece si basa sulla comodità del conformismo e ci fa credere che alla fine tutto va bene, che il mondo è cambiato e che dobbiamo adattarci.
Contro il disfattismo catastrofico e il conformismo mondano, il Vangelo ci dà occhi nuovi, ci dà la grazia del discernimento per entrare nel nostro tempo con un atteggiamento di accoglienza, ma anche con uno spirito profetico.
Sin dall’inizio del suo pontificato Papa Francesco (cf EG) ci ha incoraggiato ad affrontare i cambiamenti del mondo con accoglienza profetica, impararando a riconoscere i segni della presenza di Dio nella realtà, anche dove essa non è esplicitamente segnata dallo spirito cristiano. Una realtà che ci provoca e, allo stesso tempo, ci sfida a interpretare tutto alla luce del Vangelo, senza diventare mondani, ma rimanendo testimoni della profezia cristiana.
Nella crisi di fede che il nostro mondo sta attraversando, e di fronte a tante situazioni di dolore che nessuno capisce, i credenti e le persone consacrate sono talvolta guardati con uno sguardo inquisitorio e persino con domande interrogative: Dov'è il tuo Dio? (Sal. 42)? Di fronte al disfattismo catastrófico e al conformismo mondano, il Vangelo ci dà occhi nuovi, ci da la grazia del discernimento per intrare nel nostro tempo con atteggiamento di accoglienza, ma anche con spirito profetico.
Una teologa spagnola, Pepa Torres, fa una riflessione un po' azzardata, ma che può far riflettere: il mistero che chiamiamo Dio non è né miracoloso, né punitivo, né interviene direttamente nella storia, né per provocare il male né per impedirlo, ma è il soffio della vita, la fonte della resilienza, come ci è stato rivelato nel Crocifisso. Egli sostiene, ispira, mobilita la solidarietà e la creatività amorosa, come ha fatto e continua a fare nel cuore di tante persone, in questa crisi che produce e accompagna tante situazioni estreme.
Il Dio di Gesù è esperto nel far rinascere la vita da ciò che è spezzato e nell'indicare la speranza quando tutto sembra perduto.
C'è quello che potremmo chiamare l'errore del perfetto: tutto sarà nuovo e diverso... ma con la consapevolezza dell’esistenza del “limite”, del "rischio" di tutto! Il rischio ci identifica. Chi è a rischio è:
- Umile (futuro percorso di vita religiosa).
- Dipendente (da Dio in tutto e per tutto).
- Collaboratore
Papa Francesco nell'Enciclica Fratelli Tutti elenca e analizza le cause della crisi che stiamo vivendo nel mondo e che minaccia la fraternità e la comunione universale:
Sogni che vanno a pezzi
La storia che mostra segni di ritorno
La fine della coscienza storica
Lo scarto globale
Diritti umani non abbastanza universali
Conflitto e paura. Guerre, attentati, persecuzioni...
Globalizzazione e progresso senza una direzione comune
Pandemie
L'illusione della comunicazione.
Fake news.
La manipolazione
Aggressività. Sottomissione.
Nessuna dignità umana alle frontiere
La storia che mostra segni di ritorno
La fine della coscienza storica
Lo scarto globale
Diritti umani non abbastanza universali
Conflitto e paura. Guerre, attentati, persecuzioni...
Globalizzazione e progresso senza una direzione comune
Pandemie
L'illusione della comunicazione.
Fake news.
La manipolazione
Aggressività. Sottomissione.
Nessuna dignità umana alle frontiere
E ci invita alla speranza:
"Invito alla speranza", che "ci parla di una realtà che è radicata nell'intimo degli esseri umani, indipendentemente dalle circostanze concrete e dai condizionamenti storici in cui vivono. Ci parla di una sete, di un'aspirazione, di un desiderio di realizzazione, di una vita realizzata, di un desiderio di toccare il grande, quello che riempie il cuore e solleva lo spirito verso cose grandi, come la verità, il bene e la bellezza, la giustizia e l'amore. La speranza è audace, sa guardare oltre le comodità personali, le piccole sicurezze e compensazioni che restringono l'orizzonte, per aprirsi a grandi ideali che rendono la vita più bella e dignitosa. Camminiamo nella speranza» (Fratelli tutti, n. 55).
Da qui, la vita religiosa risponde alle grandi trasformazioni del nostro mondo, con lo sguardo rivolto al Vangelo, ai più svantaggiati e a coloro che soffrono le conseguenze della guerra e della violenza.
Sr Carmen Ros Nortes, NSC
Sottosegretario DIVCSVA